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Casa Balla e il suo Studiolo: studio, restauro e conservazione

Autore: G. DE CESARE , P. IAZURLO, G. SIDOTI

Anno: 2011

in: Lo Stato dell'Arte 9, IX Congresso Nazionale IGIIC, Cosenza 13-15 ottobre 2011

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La Casa di Giacomo  Balla in Roma, progettata in ogni minimo particolare al momento del suo trasferimento nel 1929 in Via Oslavia, è uno dei pochi esempi della vita quotidiana di un artista, una casa- studio, dove ogni elemento dell’arredo e delle decorazioni sono testimonianza della sua personalità. Il colore è l’elemento principe, poiché esalta il dinamismo e il movimento delle linee delle pitture murali che decorano alcuni ambienti della casa, come lo Studiolo Rosso e il lungo corridoio, ma anche i soffitti delle stanze e del salone. Lo Studiolo Rosso costituiva un ambiente raccolto di meditazione, concepito come un tutt’uno, dove  dalle pareti al soffitto si ripete lo stesso motivo decorativo astratto, legato all’idea della velocità, nei tre toni base di giallo, verde e blu su fondo rosso. La pittura non si interrompe mai, coinvolge i muri, i mobili e gli accessori come il paralume, il vetro della finestra, gli stipiti delle porte. Sulle pareti una carta da parati preesistente è stata ricoperta dalla decorazione, così come è avvenuto per gli impianti a vista, ovvero i fili elettrici e le tubature dell’acqua.

Balla ha rappresentato per il movimento futurista italiano, sicuramente il momento di ricerca più intenso e poetico, interessandosi a nuove sperimentazioni, non solo di fantasia cromatica ma anche di nuovi materiali e tecniche di esecuzione, che lo collocano tra le prime espressioni dell’arte astratta italiana.

Nello Studiolo la varietà dei supporti ha imposto all’artista l’impiego di leganti pittorici diversi, dalle tempere idrosolubili applicate sull’intonaco e la carta da parati, agli smalti delle porte e degli altri arredi in legno. Per gli smalti, incrociando i risultati delle analisi chimiche con i test di solubilità, è stato possibile escludere la presenza di pitture alchidiche o alla nitrocellulosa (le prime non ancora presenti sul mercato alla data del 1929) e individuare leganti a base di oleoresine, diffusi tra i primi decenni del XX secolo quali prototipi per le pitture domestiche insolubili.

La differenza di materiali impiegati dall’artista ha comportato, nel restauro conservativo dello studiolo, un approccio metodologico differenziato. Il cantiere didattico eseguito nel 2009 dal laboratorio di restauro dei materiali dell’arte contemporanea dell’ISCR, con la partecipazione degli allievi del IV anno, è stato finalizzato alla caratterizzazione dei medium pittorici e del loro diverso grado di solubilità, in funzione dell’intervento di pulitura. La successiva reintegrazione ha permesso il recupero complessivo dell’ambiente nella sua unità visiva.