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Satiro, Michele La Spina, Accademia Nazionale di San Luca, Roma

analisi storico-critica

Michele La Spina (Acireale, 1849Roma, 1943) Satiro 1899. inv. 107 Iscrizioni: M. LA SPINA – FECE / ACIREALE 1899  F. BRUNO – FUSE   ROMA

Michele La Spina incarna nella sua scultura l’ideale del verismo rappresentato in letteratura da Luigi Capuana, che fu il suo principale sostenitore. La presente opera è stata concepita al culmine della sua carriera ed è quella che ha ottenuto il maggiore successo.  Rappresenta una sorta di apparizione, un’immagine della natura selvaggia della terra incarnata dalla figura del satiro con i frutti tra le mani, che lo stesso Capuana descrive, facendosi interprete del sentire dell’autore, come “la strana figura di cui aveva già fissata magistralmente l’espressione ferina e lasciva…grande al naturale, robusta e vellosa, con un sorriso bestiale di soddisfazione su le labbra carnose e negli occhi caprini…”[1].
Formatosi presso l’Istituto di belle arti di Napoli (1870-78), insieme a Michele Cammarano, Gioacchino Toma, Francesco Paolo Michetti, Giuseppe Sciuti, fu a Parigi (1878) e a Firenze (1879-80), dove entrò in contatto con i Macchiaioli. Trasferitosi definitivamente a Roma nel 1881, con studio in via Margutta e dal 1930 nella chiesetta sconsacrata di Santa Maria in Tempulo, partecipò con scarso successo ai principali concorsi per i monumenti postunitari. Realizzò vari busti ritratto, a partire da quello giovanile della madre, che già rivela il severo e rigoroso realismo caratteristico della sua ritrattistica successiva.
L’esegesi delle sue opere da parte di Luigi Capuana fornisce una testimonianza preziosa della produzione dell’artista: il perduto Faunetto che aggiusta la sua siringa, esposto alla prima Esposizione internazionale di Belle Arti nel neonato Palazzo delle Esposizioni nel 1883, è a tal punto apprezzato dallo scrittore siciliano da costituire il modello del personaggio di Scurpiddu protagonista di un suo racconto (1898).
Una versione precedente del Satiro, a mezzo busto (1896), in creta, esposta a Pietroburgo, fu acquistata dal granduca Alessio e andò perduta con la rivoluzione del 1918, la fusione in bronzo, rifiutata all’Esposizione di Torino del 1898, fu esposta numerose volte, come anche quella a figura intera. Il successo non ottenuto in Italia fu entusiastico all’esposizione di Monaco del 1900, a Berlino, Praga e Vienna e al Salon di Parigi del 1901, dove si riferisce che il Satiro sia stato apprezzato anche da Rodin[2].
Nella fase matura il linguaggio troppo realistico fino a risultare perfino sgradevole alienò a La Spina il favore del pubblico e della critica facendogli preferire nei grandi concorsi pubblici altri autori più aggiornati. Un tardivo riconoscimento gli fu tributato dal sindacato laziale fascista degli artisti che allestì una sua mostra personale antologica nel 1929. Nel 1930 fu nominato socio benemerito dell’Accademia di San Luca.
Negli ultimi anni lavorò ad una testa gigantesca di Garibaldi, che sognava di collocare a Nizza, ma che dovette essere distrutta dopo la sua morte, non potendo altrimenti essere portata fuori dall’antica chiesetta nella quale lo scultore aveva lo studio.

Il Satiro pervenne all’accademia dopo la sua morte, insieme a una parte delle opere rimaste nel suo studio.



[1] L. Capuana Artisti siciliani (Michele La Spina) in: “L’Ora” Palermo, 28-29 giugno 1900 citato da A.M. DAMIGELLA L’arte di Michele La Spina attraverso le collezioni pubbliche di Roma in:”Accademia di scienze lettere e belle arti degli zelanti e dei dafnici” Acireale 2011 p.48

[2] G. Un siciliano a Parigi in: “D’Artagnam” Catania, 27 giugno 1901, cit. da A.M. DAMIGELLA, op. cit. p. 49