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Gli affreschi di Polidoro da Caravaggio dal Casino del Palazzo del Bufalo a Roma

analisi storico-critica

Il ciclo pittorico che Polidoro da Caravaggio realizza per il Casino del Bufalo-Cancellieri, di cui oggi rimangono solo sei affreschi staccati, sono un raro esempio superstite della vasta produzione in chiaroscuro del Cinquecento romano.
Polidoro giunge a Roma nel momento in cui è aperto il dibattito sul problema della conservazione dell’antico, l’antichità classica e la grandezza di Roma continuano a vivere nell’opera del Papato di Leone X, insieme al collega Maturino da Firenze il giovane Polidoro studia, documenta, ricostruisce l’antico e costruisce sulle facciate dei palazzi romani il suo museo all’aperto.
Tra il 1517 e il 1527, anno della partenza per Napoli, Polidoro e  Maturino  dipingono circa una quarantina di facciate in chiaroscuro.

Polidoro si afferma per la sua abilità tecnica ed attenzione per le “anticaglie”, che diventano rilettura ed interpretazione delle cose antiche, infatti per il ciclo pittorico che decorava il ninfeo del palazzo del Bufalo si attiene ad una fedele filologica lettura delle  Metamorfosi  di Ovidio, dove l’acqua, presente nel giardino del Bufalo, è una componente ricorrente negli episodi rappresentati.
La scelta dei temi  era dunque dettata iconologicamente dal luogo in cui la decorazione si collocava e alla sua funzione, ma anche dalla committenza della famiglia.

La sequenza intera del ciclo del Casino del Bufalo contemplava ben cinque storie di Perseo: Danae e la pioggia d’oro, Perseo pietrifica Atlante, Perseo libera Andromeda, Sacrificio per la liberazione di Andromeda, Perseo pietrifica Fineo, più la raffigurazione di Perseo e le Muse, ed altri scomparti autonomi più piccoli tra cui la Fortuna.

I sei dipinti superstiti realizzati nel 1525, Perseo libera Andromeda, Sacrificio per la liberazione di Andromeda,  Perseo e le Muse (il Parnaso), Perseo combatte contro gli uomini di Polidette, la Fortuna, Cariatide,  sono stati oggetto di un progetto di restauro conservativo sviluppatosi tra il 2007 ed il 2009 che ha visto la collaborazione tra l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro - che in parte ha finanziato i lavori con fondi ottenuti dal Superiore Ministero -  il Museo di Roma Palazzo Braschi proprietario delle opere, e la Fondazione Paola Droghetti onlus che ha ritenuto di potersi impegnare bandendo delle borse di studio destinate ai neo diplomati dell’Istituto.

La collocazione delle pitture in esterno e la loro disposizione sulla facciata  ha determinato la maggior parte dei danni e un diverso stato conservativo; i dipinti infatti rimossi prima della demolizione del Casino del Bufalo nel 1885, per l’apertura della direttiva di via del Tritone, avevano subito un intervento di restauro nel 1967 ad opera di Carlo Matteucci, consistito essenzialmente nella ricollocazione degli affreschi staccati su di un supporto mobile, un pannello di vetroresina, ed uno successivo nel 1975.

Polidoro sviluppa una particolare rapporto con il mondo antico romano, che da un parte si configura fedele filologicamente alle fonti letterarie dalle quali trae ispirazione descrittiva, e dall’altra la sua esperienza diretta con le “cose” antiche diventa interpretazione, non imitazione, ma rilettura ed elaborazione attraverso la pittura di “storia”. Trae spunto da quanto lo circonda e vede, ad esempio la Colonna Traiana, l’Arco di Costantino, o da altri rilievi e sculture classiche, ma poi trasforma i movimenti, le pose dei personaggi, la storia antica diviene citazione.

Il progetto di recupero degli affreschi, sebbene molto abrasi e dilavati e notevolmente ridipinti, è stata anche occasione di studio e approfondimento della tecnica esecutiva della pittura a monocromo di facciata, rarissima testimonianza dell’attività di Polidoro e Maturino; infatti il lavoro svolto sugli ultimi due dipinti  Perseo combatte contro gli uomini di Polidette e il Parnaso, ha confermato le ipotesi e le riflessioni iniziali espresse sulla tecnica di Polidoro che, contrariamente a quanto ritenuto in generale, faceva uso di cartoni preparatori, ricavati da studi preparatori dettagliati e disegni, come strumenti di trasposizione dell’immagine, elementi osservabili dalle incisioni sia dirette che indirette, a luce radente della pellicola pittorica.